NUR/LUCE. Appunti afgani

NURMostra fotografica di Monika Bulaj


dal 4 agosto al 23 settembre 2012
Salone degli Incanti / ex Pescheria

“Nel giardino luminoso dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati,  nel fondo più nero della disperazione”.

NUR/LUCE. Appunti afgani è una mostra della fotoreporter Monika Bulaj, che dopo essere stata presentata a Venezia nella Loggia di Palazzo Ducale e a Roma alle Officine Fotografiche, viene ospitata a Trieste, nella suggestiva cornice dell’ex Pescheria – Salone degli Incanti, arricchita da nuove immagini e testi, interventi negli spazi aperti della città e un convegno tematico.

NUR/LUCE. Appunti afgani e’ un viaggio nell’altro Afghanistan, nelle parole di Monika Bulaj “Un viaggio solitario nella terra degli Afgani. Dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, il riso, la paura. Spostandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak. Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, armati soltanto di un taccuino e una Leica, fatti per l’intimità dell’incontro. Balkh, Panjshir, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan, Pamir Khord, Khost wa Firing. Uno slalom continuo per evitare i banditi targati Talib, seguendo la complicata geografia della sicurezza che tutti gli afgani conoscono. Parlando con gli afgani, ho scoperto che la guerra è una macchina miliardaria che si autoalimenta e che pur di funzionare arriva al punto di pagare indirettamente tangenti allo stesso nemico. Rifiutando di viaggiare con un’unita’ militare – ‘embedded’ – protetti da un elmetto in kevlar, ho ritrovato un mondo che, dalla Maillart a Bouvier, gli europei amarono e che ora, dopo dieci anni di presenza militare, abbiamo rinunciato a conoscere. La culla del sufismo e di un Islam tollerante che, lì come in Bosnia, l’Occidente  si ostina a ignorare, un mondo odiato dai Taliban e minacciato dal  nostro schema dello scontro bipolare. Un Paese nudo e minerale, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo non ha spazio per l’arroganza. Deserti dove il richiamo “Allah u Akhbar” suona più puro che altrove. Una terra abbacinante, dai cieli sconfinati, e così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra – interni, albe e crepuscoli – per ridare un senso alla luce, al fuoco, ai bagliori dello sguardo. Un Paese disperato, dove la donna è schiacciata dal tribalismo e l’oppio è la sola medicina dei poveri, ma dove una straniera può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto come una benedizione. Una terra dove si rischia la vita solo andando a scuola e dove nelle periferie disperate i bambini si svegliano alle quattro del mattino per andare a prendere l’acqua con gli asini. Ma anche un Paese d’ironia, capace di ridere nei momenti più neri, rispettoso degli anziani, perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che domani saranno uomini”.

NUR/LUCE. Appunti afgani è una raccolta di immagini di grande qualità: oltre all’impeccabile aspetto tecnico/compositivo delle fotografie, realizzate indistintamente in colore e bianco e nero, spicca la sensibilità dell’autrice, che crea una serie di immagini intense, raffinate, vissute e coraggiose come l’impresa stessa. Rifiutando di viaggiare con i militari come fotografa ‘embedded’, Monika Bulaj è riuscita ad “entrare” e a mescolarsi con la gente e  le tradizioni dei luoghi visitati, siano essi villaggi kirghisi che città – spettro come Kabul, ottenendo completa fiducia, tanto da riuscire a scattare anche in situazioni particolarmente delicate come ospedali, moschee, bagni pubblici, palestre, scuole e prigioni. Il suo lavoro inoltre mette in luce un altro Afghanistan, spesso nascosto dagli stereotipi e mascherato dai pregiudizi, quello delle donne, raccontate attraverso scatti che catturano le loro espressioni più autentiche.

Dagli appunti di viaggio di Monika Bulaj “Kabul nelle notti d’inverno, il suo arcipelago di villaggi abusivi senza fogne, elettricità, dove i bambini si alzano alle quattro del  mattino per conquistarsi la loro pesante tanica d’acqua. Le cerimonie cantate dei sufi, i riti di magia per compensare  l’assenza di medicine, i villaggi interamente di oppiomani, perché non  esiste altra difesa dal dolore. Le spose vendute per debiti, gli hamman maschili, il culto del corpo del guerriero afgano del XXI secolo nelle body-gym, il dramma della nuova epidemia delle auto-immolazioni e delle mine anti-uomo, che aumentano anziché diminuire. Il lavoro solitario e unico di Emergency e dell’ICRC di Alberto Cairo, e poi i riti clandestini sciiti, le lettere con minaccia di morte affisse di notte dai talebani alla porta di chi osa mandare le proprie figlie a scuola. Le prigioni minorili dove vengono gettate le adolescenti fuggite dai matrimoni forzati o le case rifugio dove esse si nascondono dalla prigione, dalla vendetta dei clan e della loro stessa famiglia. L’abbiamo guardato tutto questo non dall’oblò di un blindato ma con l’occhio dell’afgano che lo guarda dalla strada. A chi importa dei Kuchi, ultimi nomadi e ultimi degli ultimi, privati dei loro pascoli e ridotti a larve nelle città, in case-buche dove metà dei neonati non sopravvive all’inverno? Ma forse oggi tutti gli afgani stanno diventando kuchi, displaced people, seduti sui loro fagotti in attesa di una fuga impossibile. Un popolo, nonostante questo, capace di ridere e di giocare con passione, ascoltare musica e ballare, cantando a voce alta. Ed ecco il barbiere allegro che fu Osama Bin Laden in una fiction televisiva, il gioco d’azzardo attorno a eserciti di pulcini in guerra nel teatrino del quartiere, le risa intorno alle lotte rituali tra cammelli. Le famiglie dei talebani al fronte, i capi assassini pentiti, le bambine nomadi prostitute, la lotta senza speranza dei kirghisi e degli sheva sulle montagne desertiche del Nord. E poi il continente femminile, le donne, i loro sogni, le aspirazioni, la lotta contro la depressione e l’autorealizzazione in un soffocante contesto tribale. Una panoramica di un Paese che rompe i nostri pregiudizi, le paure e i tabù”.

E ancora, così Monika Bulaj descrive il progetto triestino “La Vecchia Pescheria, con il suo odore di alghe e conchiglie e i riflessi dorati d’acqua su pietra nera, non era il cuore segreto di Trieste? Affettata da raggi di luce, maestosa e trasparente,  poteva sembrare il Partenone di questa Vienna sull’Adriatico. Oppure l’agorà di pescatori con facce arrostite come zucche, massaie austriache ed ebree, contadine slovene e governanti greche. E, poi, il ginnasio, dove nel brusio di voci confuse, nel bordone dei richiami, i bambini imparavano i nomi di pesci, barche e venti. I triestini la chiamavano Santa Maria del Guato. Vi siamo entrati come si entra in una basilica, cercando istintivamente l’altare, le colonne e le navate. Abbiamo creato un’installazione minimale, l’impalcatura trasparente di un tempio non finito, come in una città sotto assedio, dove gli abitanti hanno dimenticato i loro sogni, oppure gli sono mancate le forze. L’abbiamo riempita con voci di bazar e strade di Kabul, con pianto di  donne, canti di bambini e mistici sufi. Ululati, nitriti, belati del grande silenzio dell’Hindukush e del Pamir. I volti degli afgani si sono adagiati con  naturalezza nelle nicchie vuote dell’iconostasi quasi bizantina, già presente nella sua pianta originale.

Ma si affacciano anche dalle finestre murate e sui giardini incolti nei vicoli della Città. Passano le soglie delle porte sbarrate,  abitano case abbandonate, si confondono con le ombre dei passanti.
La loro è una presenza discreta, appena una traccia, un bisbiglio: sono i PASSAGGI AFGANI A TRIESTE. che si possono vedere in:


Ma la mostra, è anche e sopratutto un’occasione d’incontro con i grandi testimoni della storia afgana, ricercatori, giornalisti, diplomatici e medici. Alle loro storie verranno dedicate le tre giornate del convegno AFGHANISTAN, OLTRE IL GRANDE GIOCO, che si terrà nell’Auditorium dell’ex Pescheria – Salone degli Incanti dal 7 al 9 settembre p.v., durante il quale si parlerà di  spiritualità e antropologia, storia e attualità, guerra e quotidianità, con particolare attenzione alla questione giuridica e all’odissea dei profughi afgani in Europa”.

Interverranno, tra gli altri:
ALBERTO CAIRO, Kabul, Croce Rossa Internazionale, candidato per il Premio Nobel per la Pace nel 2010, fisioterapista, giornalista e scrittore;
SORAYA MALEK, principessa afgana discendente del re riformatore Amanullah (esiliato in Italia e morto in Europa agli inizi del secolo scorso);
MARIO DONDERO, fotografo e giornalista;
EMANUELE GIORDANA, giornalista, cofondatore di Lettera22, direttore del mensile “Terra” e direttore responsabile dell’Agenzia multimediale “Amisnet” di Roma; è uno dei conduttori di Radiotre Mondo a Rai Radio 3 e tra i promotori dell’iniziativa “Afgana”; nel dicembre 2011 ha ricevuto con Lisa Clark, a nome di “Afgana”, il Premio per la Pace Tiziano Terzani;
ENRICO DE MAIO, diplomatico, già ambasciatore d’Italia in Pakistan e Afghanistan;
GIOVANNI PEDRINI, antropologo e orientalista, responsabile del progetto di ricerca “Identità etniche e frontiere culturali nel Wakhan Pamir” dell’Università Ca’ Foscari di Venezia;
GIULIANO BATTISTON, ricercatore e giornalista freelance, scrive reportage, in particolare dall’Afghanistan ed è attualmente è impegnato in due ricerche sulla società civile afgana e la percezione afgana della presenza straniera;
SERGIO UJCICH, portavoce ufficiale del Centro Culturale Islamico di Trieste e del Friuli Venezia Giulia;
FABRIZIO FOSCHINI, laureato in Storia Orientale all’Università di Bologna nel dipartimento di Studi Linguistici e Orientali, ha svolto un dottorato di ricerca in Storia, Istituzioni e Relazioni Internazionali dell’Asia; è in Afghanistan in modo stanziale da più di due anni, lavora a Kabul come ricercatore presso l’Afghanistan Analysts Network, forse il più accreditato centro di ricerca sulle tematiche politiche del Paese;
ALEXANDRE PAPAS, ricercatore presso il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, storico dell’Islam e dell’Asia centrale; nel 2006 ha ricevuto il premio per la miglior tesi di dottorato presso l’Istituto per lo studio dell’Islam e le società del mondo musulmano; si occupa principalmente di misticismo Sufi, di venerazione del sacro e delle questioni politico-religiose in Asia centrale e nelle zone limitrofe dal 16° secolo ad oggi;
FUAD KHALED ALLAM, scrittore, giornalista e sociologo algerino naturalizzato italiano; ricercatore universitario della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste, dove dal 1994 insegna Sociologia del mondo musulmano e Storia e istituzioni dei paesi islamici, nonché Islamistica all’Università di Urbino;
HERMANN KREUTZMANN, professore di Geografia Umana, direttore del Centro di studi sullo sviluppo, direttore dell’Istituto di Scienze Geografiche presso la Freie Universitat Berlin, con all’attivo una pluriennale esperienza di ricerca sul campo nelle regioni dell’Asia centro settentrionale; attualmente riveste la carica di consigliere e ricercatore principale del Competence Network “Crossroads Asia” finanziato dal Federal Ministry of Education and Research (BMBF – Bundesministerium für Bildung und Forschung);
ANTONIO DE LAURI, dottore di ricerca in Scienze Umane – Antropologia della Contemporaneità. È Fondation Maison des Sciences de l’Homme Postdoctoral Fellow a Parigi e Nanterre. Ha curato il volume “Poesie afgane contemporanee. Un percorso tra le vie della conoscenza” ed è autore del libro “Afghanistan. Ricostruzione, ingiustizia, diritti umani” nel quale analizza i limiti del tentativo di  ricostruzione giuridica e giudiziaria in Afghanistan, con uno  sguardo da antropologo-giurista;
ANTONIO PALMISANO, professore associato in Antropologia Culturale e in Antropologia Politica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Trieste, Senior Advisor for Judicial Reform, all’interno del Rebuilding the Justice System Program, affidato al Governo italiano dal Bonn Agreement del 2001. Con la Judicial Reform Commission, Kabul University, Unicef, Who, ha condotto e diretto ricerche estensive sui temi dell’ordine sociale e politico e sull’organizzazione tribale e di villaggio, sulle forme alternative di soluzione dei conflitti e sulla struttura e organizzazione della giustizia informale in Afghanistan;
GIOVANNI DE ZORZI, suonatore di flauto ney e docente di Etnomusicologia all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia; da circa vent’anni si occupa di musica classica e sufi di area ottomano-turca, iranica e centroasiatica; alterna l’attività concertistica, in solo o alla guida dell’Ensemble Marâghî , con la ricerca sul campo, la scrittura, la direzione artistica di programmi musicali e la didattica, strumentale e  accademica;
ANDREA ANGELI, ex portavoce dell’Unione Europea in Afghanistan, autore dei volumi “Professione Peacekeeper” e “Senza Pace”;
ROSSELLA VATTA, infermiera pediatrica dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofolo di Trieste, ha lavorato come volontaria di Emergency nel Centro di maternità dell’Ospedale di Anabah in Panjshir.

Seguiranno proiezioni di film e di documentari.

MONIKA BULAJ
Nata a Varsavia nel ’66, è fotografa, reporter free lance e documentarista. Dopo gli studi di filologia all’Università di Varsavia, si è dedicata alla ricerca antropologica, approfondendo, in particolare il tema della fede.  Considerata da alcuni “la migliore fotografa sul tema del sacro”, ha pubblicato diversi libri di fotografia e reportage; collabora  La Repubblica, Corriere della Sera, National Geographic, GEO, Il Venerdi, D, East, Courrier International, Io Donna, Gazeta Wyborcza, Il Piccolo e altri. Ha all’attivo circa 60 mostre personali, tra New York e Il Cairo. E’ stata insignita dei seguenti premi: Grant in Visual Arts 2005 da parte di European Association for Jewish Culture; Premio Francesco Gelmi di Caporiacco 2008; Premio Chatwin 2009 “Occhio assoluto”; The Aftermath Project Grant 2010; Premio Luchetta-Hrovatin 2011; TEDGlobal Fellowship 2001, Premio Tomizza 2012. Vive a Trieste.

Per informazioni
Tel. 040 3226862
Email: info_expescheria@comune.trieste.it

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